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L’accoglienza reticente. L’immigrazione in Italia è solo causa di problemi?

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Recenzione di: “Richiesti e respinti. L’immigrazione in Italia. Come e perché”
Di Maurizio Ambrosini

a cura di Matteo Villa, La.p.s.u.s.

L’immigrazione nel nostro paese è entrata con prepotenza nel dibattito politico.
Da quando il governo Berlusconi decise di cavalcare la diffusa insicurezza degli elettori agitando lo spettro mai avveratosi di una “emergenza rom”, di una presunta invasione ormai imminente, in Italia risulta sempre più difficile parlare di immigrazione senza scadere in una falsa retorica.
Se da una parte i partiti di destra come Lega e Pdl hanno fatto propria una retorica xenofoba e intollerante, i partiti di centro sinistra, Pd in testa, non sanno bene come affrontare l’argomento.
L’immigrazione in Italia è fenomeno in crescita a partire dagli anni ’80, per diverse cause, geopolitiche, economiche che hanno portato il nostro paese a divenire meta di forti flussi migratori.
Facciamo parte di un fenomeno mondiale e per una volta non siamo in controtendenza.
Secondo le stime riportate con precisione nel libro “Richiesti e respinti” (Il Saggiatore), il 2-3% della popolazione mondiale è in movimento. Un flusso che porta ogni anno centinaia di migliaia di persone a cercare condizioni di vita migliori in altri paesi, affrontando lunghissimi viaggi, sofferenze, privazioni e non ultimo forti discriminazioni.
Che la migrazione sia un fenomeno inarrestabile è un dato di fatto.
Ma allora come affrontare il problema?

Il libro di Maurizio Ambrosini, docente di Sociologia dei processi migratori all’Università degli Studi di Milano, parte da una solida raccolta di dati. Per smentire molti luoghi comuni che riguardano proprio i migranti che nel nostro paese vanno spesso ad inserirsi in nicchie occupazionali che altrimenti rimarrebbero vuote. Dunque una forza non solo in crescita, il 7% del totale, ma sempre più importante per quel variegato e complesso tessuto economico composto da piccole e medie aziende. Poiché non tanto nelle grandi città dove i fenomeni di emarginazione sono più frequenti, ma nelle province dove i tassi di disoccupazione risultano i più bassi, la forza lavoro immigrata trova collocazione nel mercato del lavoro.
Ma a sorpresa, secondo i dati nel testo di Ambrosini, non è tanto la richiesta economica di mano d’opera ad attirare i migranti, quanto piuttosto una fitta rete di connazionali che nel nostro paese operano come delle vere e proprie agenzie di collocamento. Ha luogo così quel fenomeno per il quali gruppi etnici vanno spesso ad occupare particolari settori del mondo economico trovando in esso reti di connazionali pronti ad aiutarli. Viene così a cadere anche il pregiudizio culturale secondo il quale alcune etnie sarebbero più portate per alcuni lavori. Il fenomeno migratorio per la sua complessità necessita per  essere compreso di spiegazioni articolate e “multicausali”.

Sebbene nel nostro paese i migranti siano percepiti come braccia, manovalanza e lavoratori a basso costo, non sono solo fattori economici a spingere così tante persone a migrare e il fenomeno migratorio nel nostro paese non può essere ridotto ad un semplice scambio di forza lavoro.
Dinamiche culturali e sociali indirizzano i flussi migratori molto più che la richiesta di mano d’opera del paese ricevente.
E’ difficile poter fare un discorso unitario sul fenomeno, dal momento che gli attori in campo sono molti e differenti tra loro. Nel nostro paese esistono migranti per ragioni umanitarie, per ragioni economiche per ricongiungimenti familiari, esistono sacche di emarginazione dovute molto spesso a mancanze e vuoti legislativi. Nel campo lasciato libero dallo stato, agiscono molti attori della solidarietà che si occupano di integrare i migranti e aiutarli a divenire cittadini a tutti gli effetti.

Proprio da questo punto di vista risulta carente l’azione legislativa che tende troppo spesso a considerare il migrante come un fattore economico da inserire magari in qualche statistica Istat, ma da integrare il meno possibile. La nostra è una sorta di “accoglienza reticente”: vi è effettivamente richiesta di forza lavoro e di elementi giovani nella società, soprattutto per una paese come l’Italia a crescita zero, ma un diffuso fastidio, alimentato da una politica rozza e poco lungimirante, verso migranti di ogni tipo che siano essi rifugiati, lavoratori stagionali entrati con i decreti flussi, rom o sinti che periodicamente attraversano il territorio italiano.

L’accettazione del migrante, come rivela Ambrosini, avviene di volta in volta e singolarmente per ciascun caso, quando questi come lavoratore ricopre una funzione economica molto ben riconosciuta all’interno per esempio della famiglia (è il caso delle badanti); nel complesso, tuttavia, l’immigrazione viene percepita con ostilità.
Il libro svolge un’analisi comparata con altri paesi europei, soprattutto con paesi del nord Europa per capire se esista davvero un modello di integrazione mediterranea e considera il fenomeno migratorio nella sua complessità portando dati e accurate analisi sociologiche.
Davvero interessante è il capitolo dedicato a rom e sinti, una popolazione anch’essa complessa, variegata e oggetto di una esclusione dal tessuto sociale ostinata, continua, causa di emarginazione e incomprensioni.
Leggendo “Richiesti e respinti” risulta chiaro che quanto sappiamo in genere sull’immigrazione in Italia è frutto di una propaganda poco realistica, frutto di luoghi comuni e di una percezione sempre più diffusa dell’immigrazione come semplice minaccia.
Da qui l’importanza di un volume di analisi molto approfondita ma tutto sommato facile da leggere e da capire per chi non ha dimestichezza con la materia.
Un modo per non farci prendere dal panico, quando alle prossime elezioni qualcuno verrà a parlarci di presunte “emergenze rom” o invasioni dal mare.

A proposito, dati alla mano, risulta che la maggior parte degli ingressi sul suolo italiano avviene via terra e che l’idea che continui sbarchi di immigrati siano la fonte dei flussi migratori è per la maggior parte un’immagine costruita, stereotipo efficace per additare l’altro come una minaccia esterna, archetipo lontano di una invasione barbarica dal sud del mondo.
Terminata l’analisi del fenomeno con la descrizione di alcuni casi emblematici di studio del fenomeno e di accoglienza di migranti effettuati a Milano, Torino e Genova, l’autore passa in rassegna le prospettive per il futuro. Salta subito all’occhio dalla sua analisi l’importanza di dare fiducia e trasmettere senso di inclusione alle seconde generazioni di immigrati, a tutti gli effetti integrati nella cultura nazionale ma meno propensi dei loro genitori ad accettare lavori umili o posizioni subalterne in nome di un senso di appartenenza che sentono a tutti gli effetti.

La ricerca di una identità definita da parte degli figli di immigrati è un fenomeno culturale molto interessante che porta molto spesso alla nascita di curiosi sincretismi culturali.
Le reti di migranti mantengono con la madrepatria un legame nostalgico ma molto spesso un vero e proprio legame economico dando vita a forme di “globalizzazione dal basso” dove le frontiere e le distanze vengono annullate in nome di prossimità culturali che stabiliscono legami che non sempre la lontananza recide.

a cura di Matteo Villa, La.p.s.u.s.

Comments

avatar peppenappa
-1
 
 
Penso che migrante sia troppo vago. Francamente non mi sento di poter fare di tutta l'erba un fascio. Mi sembra molto giusto poter accogliere tutti e tutto sempre che le risorse lo consentano. Il problema della cittadinanza lo vedo risolvibile come fa la Svizzera, con punteggio, la persona che vuole la cittadinanza deve dimostrare una certa integrazione, altro che voto a tutti !. Per chi viene solo a lavorare non ci sono problemi a parte quelli di pubblica sicurezza.
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