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L’Università intrappolata nella rete del capitalismo

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L’Università intrappolata nella rete del capitalismo
di Piero Bevilacqua

[Intervento di Piero Bevilacqua (Facoltà di Lettere e Filosofia Università di Roma La Sapienza) alla "Settimana della Politica" promossa dalla Facoltà di Scienze Politiche di Torino]

Per comprendere i processi di trasformazione che da alcuni anni investono l’Università europea occorre guardare al di fuori di essa. Occorre osservare le linee di tendenza profonde del capitalismo neoliberista. Com’è noto, il capitalismo, da quando esiste - come ebbe già a notare Marx - ha cercato sempre di impossessarsi delle conoscenze tecnico-scientifiche per trasformarle in «forze produttive», per accrescere la proprio potenza attraverso l’innovazione tecnologica. Ma a lungo le sfere della ricerca, della formazione culturale, e quelle della produzione si sono mosse in parallelo e l’industria ha utilizzato per sé quanto lo Stato e la ricerca pubblica andavano scoprendo e diffondendo con relativa autonomia. Ovviamente, nel Novecento il capitalismo industriale ha organizzato un proprio autonomo ambito di «ricerca & sviluppo», anche se non ha mai cessato di utilizzare quanto veniva elaborato dalle istituzioni pubbliche. Ma negli ultimi decenni il panorama è andato cambiando. Il capitalismo vuole assoggettare sempre più strettamente ai suoi fini economici le strutture pubbliche della ricerca e della formazione. Tale tendenza risponde a un nuova fase dello sviluppo capitalistico. L’esaurimento dell’epoca industriale fordista, caratterizzata dalla produzione standardizzata di massa, porta il capitalismo a cercare nuovi territori di profitto producendo beni che nascono sempre di più dalla creatività umana, dalla intelligenza, da competenze molteplici. Nell’aspra competizione che attraversa il mondo industriale si affermano i prodotti che introducono novità nel mercato, tanto simboliche, quanto funzionali. Ma per realizzare tali beni occorre cultura, saperi diversificati, creatività, eccetera. La cultura diventa oggi un bene capitale. E l’Università è un territorio troppo ricco per lasciarlo fuori dai circuiti della produzione industriale e in generale dalla sfera economica privata. Tale tendenza è tuttavia miope. Il capitalismo tende a piegare la formazione a fini produttivi immediati e quindi la settorializza, la rende precocemente specialistica. Giovani sempre più specializzati sono oggi sempre più privi di una visione globale dei problemi. E già da tempo, come dimostra l’attuale crisi economico-finanziaria, le società odierne sono segmentate in competenze molteplici e incomunicanti, incapaci di previsione, inadeguate a governare un mondo che si presenta sempre più come un tutto complesso, un sistema di relazioni. Con ogni evidenza esso necessita della cooperazione dei saperi per essere compreso e governato. Il capitalismo va in senso contrario. Esso frammenta la conoscenza per poterla vendere con profitto. Ma l’interesse generale reclama una cultura globale della società, della condizione umana, della natura. Qui dunque si apre un conflitto tra l’Università piegata agli interessi privati e quella che deve servire a una formazione completa delle nuove generazioni. Un contraddizione sempre più evidente tra un sapere subordinato a finalità immediate e strumentali e una conoscenza che deve servire gli interessi generali, fornire i quadri concettuali, le idee e i valori per governare la complessità globale. La riforma di cui ha bisogno l’Università oggi riguarda l’organizzazione dei saperi al suo interno, il loro dialogo per una formazione olistica delle nuove generazioni. Non abbiamo bisogno di un sapere per produrre sempre più merci e desideri artificiali, ma conoscenze per proteggere la natura, affrontare grandi problemi sociali, governare un mondo complesso e in pericolo.

da: L'Unità, 18 febbraio 2010

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