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La morte delle università

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L’accademia è diventata serva dello status quo. Il suo malessere affonda molto più nel profondo di quanto non facciano gli aumenti delle tasse.

di Terry Eagleton via www.guardian.co.uk

Traduzione di Flavio Pintarelli, revisione di Claudia Boscolo

Le materie umanistiche stanno sparendo dalle nostre università? La domanda è assurda. Sarebbe come chiedersi se l’alcol stia sparendo dai pub, o l’egoismo da Hollywood. Così come non può esistere un pub senza alcol, non può esistere università senza le materie umanistiche. Se la storia, la filosofia e le altre materie umanistiche scomparissero dalla vita accademica, al loro posto si verrebbe a trovare una struttura di preparazione tecnica oppure un centro di ricerca legato alle corporations. Ma non si tratterebbe di un’università nel senso classico del termine, e sarebbe ingannevole chiamarla in questo modo.

Non ci potrebbe neppure essere l’università nel senso pieno della parola in una situazione in cui le discipline umanistiche esistessero isolate dalle altre discipline. La maniera più spiccia per svalutare queste materie – ancor prima di sbarazzarsene in un solo colpo – è quella di ridurle ad essere soltanto una piacevole gratifica. I veri uomini studiano giurisprudenza o ingegneria, mentre le idee e i valori sono roba da femminucce. Le materie umanistiche dovrebbero costituire il cuore di ogni università che meriti questo nome. Lo studio della storia e della filosofia, insieme a conoscenze di arte e letteratura, dovrebbe essere parte del bagaglio culturale di avvocati e ingegneri, così come lo è per gli studenti della facoltà umanistiche. Se le materie umanistiche non sono minacciate in maniera così spaventosa negli Stati Uniti ciò accade perché, tra le altre cose, queste vengono considerate come parte integrante dell’educazione universitaria.

Nel momento in cui fecero la loro comparsa nella forma attuale intorno all’inizio del XVIII secolo, le cosiddette discipline umanistiche avevano un ruolo sociale cruciale. Si trattava di nutrire e proteggere quel genere di valori a cui un gretto ordine sociale aveva pochissimo tempo da dedicare. Le discipline umanistiche moderne e il capitalismo industriale furono più o meno gemellate alla nascita. Per preservare un insieme di valori e idee sotto assedio, erano necessarie fra le altre cose istituzioni conosciute con il nome di università situate a una certa distanza dalla vita sociale quotidiana. Questa distanza si traduceva nella deplorevole inefficacia degli studi umanistici, ma allo stesso tempo autorizzava le discipline umanistiche a lanciare una critica del buon senso convenzionale.

Di tanto in tanto, come alla fine degli anni ’60 e in queste settimane in Inghilterra, quella critica viene portata nelle strade, per confrontarsi con i modelli di esistenza attuali e per proporne modelli alternativi.

Ciò a cui abbiamo assistito nel nostro tempo è la morte delle università come centri di critica. A partire da Margaret Tatcher, il ruolo dell’accademia è stato di servire lo status quo e non di sfidarlo in nome della giustizia, della tradizione, dell’immaginazione, del benessere umano, del libero gioco della mente o delle visioni alternative del futuro. Noi non cambieremo tutto questo semplicemente aumentando i finanziamenti statali alle discipline umanistiche in opposizione alla loro totale eliminazione. Noi cambieremo tutto questo insistendo sul fatto che una riflessione critica sui valori e i principi umani dovrebbe essere centrale in tutte le attività che si svolgono dentro le università, e non soltanto nello studio di Rembrandt o Rimbaud.

Dunque, le discipline umanistiche possono essere difese soltanto mettendo l’accento su quanto sono indispensabili; e ciò significa insistere sul loro ruolo vitale nell’intera questione dell’apprendimento accademico, piuttosto che soffermarsi sul fatto che, come qualche parente povero, non sono poi così costose da ospitare.

Come si può raggiungere questo obiettivo in pratica? Dal punto di vista finanziario non è possibile. I governi sono decisi a ridurre le discipline umanistiche, e non ad espanderle.

Troppo investimento nell’insegnare Shelley potrebbe significare una retrocessione rispetto ai nostri concorrenti? Ma non c’è università senza ricerca umanistica, il che significa che le università e il capitalismo avanzato sono fondamentalmente incompatibili. E le implicazioni politiche di questo fatto risiedono molto più in profondità rispetto all’aumento delle rette universitarie.

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