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Osservatorio sulle patologie dell università.. ogni lun, h13.30, auletta A

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In forma di appunti, ad uso collettivo

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SE_Diamine_SaddleBRownCrossripubblichiamo, per un dibattito sul tema, l'intervento di uno studente di noi in occasione dell'assemblea tenutasi in statale i primi giorni di ottobre.

Contro diritto allo studio ed università pubblica

negli ultimi due anni di mobilitazioni abbiamo fatto il nostro. Anche risparmiando la retorica dell'accumulazione progressiva di  esperienze, errori e conquiste...abbiamo fatto il nostro dentro e fuori le maree ondivaghe dei movimenti universitari.
Questi appunti ne sono testimonianza in presa diretta, vissuto critico e provocazione al tempo stesso.
Tagliando con l'accetta lo schema è di facile lettura: gli studenti parlano di tagli, diritto allo studio, nel migliore dei casi autoriforma (o almeno così si legge..ma si scrive autoformazione). I ricercatori, già sulla declinazione del concetto si perderebbe tempo, parlano di precarietà, turn-over ed avanzamenti di carriera...nel migliore dei casi di processo di Bologna (ma scritto bologna process fa molta più scena). I lavoratori reclamano maggiori tutele sindacali, partecipazione e contrastano le riorganizzazioni di spazi e tempi della galassia universitaria.

Uno spazio condiviso di critica del presente ed elaborazione politica ancora non si è dato. Scarsa propensione ad accettare le sfide? Obiettivi diversi? Scherzo del destino?

Non è passata una settimana (gio 30/09) dal corteo padovano promosso dal “Forum Formazione Bene Comune” cui molti di noi hanno giustamente partecipato e da questo metabrand voglio cominciare. Collettivamente abbiamo abusato del grimaldello, dell'item “bene comune” per ammiccare alla difesa dell'università pubblica e del valore intrinseco di questo baluardo di civiltà.
Solo che questa nostra università, che del pubblico non ha nemmeno troppi accenti, da tutelare mantiene ben poco.
Non occorre appassionarsi alla democrazia parlamentare presente per riconoscere il valore storico e politico dell'esperienza della Resistenza. Una memoria che ci piace come ingranaggio collettivo, come opportunità per leggere il presente, molto più che come mummificazione dei bei tempi che furono.
In modo analogo sarebbe scorretta l'operazione di ingessare due conquiste fondamentali: l'istruzione universale e l'accesso alla cultura generalizzato, come due chimere raggiunte e, tautologicamente, garantite a vita. L'università degli stage non pagati, degli spazi comuni negati agli studenti ed affittati per le vetrine di stilisti-privati-fondazioni, gli atenei sviliti dalla penetrazione dell'impresa e dai career day promozionali non ci fanno sorridere. Non è questo lo spazio per continuare l'elenco della spesa ma ciascuno di questi eventi apre una frattura, una crepa che determina la scomparsa e la svendita del bene collettivo.
Sulla scorta degli altri sentieri percorribili, quello dell'autoformazione in primis, della pedagogia libertaria e radicale, nella storia della conricerca, sono mille gli spunti di alterità cui possiamo rifarci per non appiattirci nella difesa del presente (“la salvaguardia di quanto c'è di buono” che è lo slogan senza tempo dei rettori e baroni che strumentalizzano con perseveranza ogni moto di
trasformazione).
Vogliamo veramente salvare l'università “pubblica” dalla privatizzazione? Dobbiamo analizzare peculiarità ed anomalie di questo processo. Un'esternalizzazione dai tratti curiosi: noi (studenti ieri, utenti oggi, clienti domani) contiuiamo a pagare e a pagare sempre di più, il privato non eroga alcun servizio ma partecipa ai cda, indirizza la ricerca, usa lo spazio universitario per opportunità di pesca d'altura e di marketing privilegiato. In tutto e per tutto un'università di stato alla faccia del bene comune.
Lo vogliamo tutelare, è corretto...solo che non c'è più.
La seconda provocazione insiste sul tema storico delle lotte studentesche, quelle che dal 6 dicembre '89 (i natali della pantera nell'ateneo palermitano) agiteranno per vent'anni gli atenei del paese: il diritto allo studio. Negli ultimi due anni troppa attenzione è stata dedicata al trauma dei tagli e troppo poca al proporre dove queste risorse dovessero essere indirizzate. Non è un enigma banale; si possono avere un sacco di soldi e spenderli in corsi di formazione con militari pensionati (come si propone nella scuola riformata) e c'è chi prova a tagliare diritti conquistati duramente sbandierando il conto in rosso.
La prima domanda da porci di fronte al tema dell'allocazione delle risorse è “soldi per chi? Soldi per fare cosa? Chi lo decide?” La seconda domanda: “questo diritto allo studio a quale modello di università è funzionale?”.
Potremmo avviare un percorso, un'indagine necessaria sulle forme ed il senso d queste rivendicazioni, sul loro contesto di riferimento. Vorrei capire perchè non ci sono mai abbastanza posti negli studentati, perchè stanze dalle metrature ridicole vengono assegnate in coabitazione mentre una quantità spropositata di alloggi viene destinata al business degli affitti per erasmus..e anche qui cito solo a titolo d'esempio perchè i fatti sono noti e parliamo della nostra brutta città.
Ho riproposto alcuni momenti dell'intervento della scorsa assemblea perchè negli ultimi due anni, con il percorso intrapreso da uninversi ( http://uninversi.org ), abbiamo scommesso sull'importanza di affiancare questo tipo di elaborazione alla quotidianità delle lotte, della solidarietà, del vivere lo spazio universitario e spero si dia l'occasione per riaprire un confronto sull'attualità di un intervento puntuale sulle metamorfosi del sistema formazione-lavoro.
La tutela di elementi del presente è una tattica plausibile solo all'interno di una strategia definita che è tutta da costruire collettivamente.
Ribaltiamo i ruoli di questa corsa all'annullamento di ogni forma di pensiero critico: diventiamo gli agenti della metamorfosi di questa cosa che non ci piace dentro e fuori l'università e la scuola, dentro e fuori le categorie sociali che ci definiscono separandoci allo stesso tempo, dentro e fuori la costruzione di differenti stili di vita, dentro e fuori una dialettica dal basso che sappia farsi antidoto dei tentativi egemonici che sempre incombono sulla nostra storia collettiva.
La nostra capacità aggregativa dipenderà, nel vuoto politico che ci circonda, innanzitutto dalla capacità di suscitare un immaginario forte fatto di rabbia e di idee, di proposte, di urgenza di trasformazione.


Nessuna radicalità si da nelle pratiche senza una più spiccata radicalità nei contenuti che sappiamo proporre, in questo incessante, vorticoso, laboratorio del possibile.

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Ultimo aggiornamento Domenica 10 Ottobre 2010 19:21  

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