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La scala è gettata: la nuova epoca dell'università italiana

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Ri-editoriale
 
Ripubblichiamo oggi l'ultimo editoriale apparso su Uniriot: breve riassunto dello stato dell'arte, inquietanti prospettive per i mesi a venire, anche i buoni propositi non mancano...
 
Il Cdm presanta la differenziazione dei finanziamente agli atenei. Eccoci, dunque, di fronte alla prima concreta mossa estiva del Governo in tema di università. Dopo l'annuncio, negli scorsi giorni, del taglio dei corsi in esubero, oggi il C.d.m. ha accolto ed approvato la proposta della Gelmini, elaborata dall'Agenzia di Valutazione, di destinare il 7% del FFO, pari a 525 milioni di euro, alle università considerate più meritevoli.

Anche se non viene detto, è del tutto visibile la coincidenza tra la classifica stilata dal governo e le università che compongono l'associazione Aquis: le 13 università, che più di un anno addietro, si erano costituite come corporazione, parallela e concorrente, alla pachidermica CRUI, vengono riconosciute e premiate come tra le più meritevoli. Come dire: lo spirito di parte e l'intraprendenza dei tecnocrati all'italiana (tra cui compare anche il Rettore Profumo, promotore del G8 Univesity Summit) ha pagato di più rispetto all'ecumenismo della communitas medievale dei Rettori Italiani. Confermando le tendenze in corso in tema di federalismo fiscale, tra le penalizzate molte (quasi tutte) sono le università del centro-sud, tra cui spiccano La Sapienza, Roma Tre, Bari, Napoli e Palermo, nonostante molte di queste scarichino una parte delle proprie spese di bilancio sui malridotti Policlinici.

Ma vediamo le prime reazioni sulla stampa: tacciono, per ora, i politici. In un'estate caratterizzata da piccoli tentativi di compromessi parlamentari, i quali, quando falliscono, è per volontà del Governo, non certo grazie all'opposizione (vedi l'ennesima fiducia sul decreto anti-crisi), di continui moniti del Presidente Napolitano alla collaborazione, interessante sarà vedere quale sarà la reazione del PD, che, lo ricordiamo, reca tra i punti principali del suo statuto, la realizzazione della santa missione meritocratica.Esulta, invece, il Corriere che da settimane sta chiedendo al governo, attraverso i suoi editorialisti (L'Università delle ipocrisie, Giavazzi, 14 luglio) e le sue inchieste, una riforma strutturale dell'università, e che saluta il provvedimento come una vera e propria svolta all'insegna della meritocrazia e dell'eccellenza. Se interessante sarà, nei prossimi giorni, decostruire più in dettaglio il provvedimento del Governo, possiamo fin da subito dichiarare la completa arbitrarietà nella scelta dei criteri di finanziamento. Il principio che muove questa re-distribuzione dei fondi è, per così dire, rovesciato. Prima sono stati operati i tagli (legge 133) e, poi, sulla base di questi, sono stati elaborati i presunti criteri di merito, per redistribuire gli spiccioli rimanenti. In altre parole non è la fissazione, a monte, dei criteri (2/3 didattica, 1/3 ricerca) ad indirizzare i finanziamenti, ma sono gli stessi tagli a giustificare la successiva individuazione dei criteri di merito. Inoltre, riprendendo le analisi prodotte quest'anno dall'Onda in tema di ricerca autonoma, risulta ancor più attuale l'interrogativo posto dal movimento: chi decide sui parametri di valutazione, per esempio quelli internazionali presi in considerazione dall'agenzia Civr? Chi gestisce i fondi, come i FIRBS europei, per la ricerca? E ancora, chi decide sulla qualità della didattica?

Alla luce di ciò possiamo fare qualche considerazione più generale. Anzitutto anche quest'anno il Governo parte dai finanziamenti, anche se questa volta invece che di tagli indiscriminati si tratta di tagli differenziati, che pure non alterano quelli quinquennali della 133. Tagli differenziati che spingeranno molti atenei il prossimo anno a trovare altre vie di salvezza, o di suicidio, a seconda dei punti di vista: tra tutte, quelle più probabili sono, l'aumento spropositato delle rette con annessa introduzione, diretta o indiretta, del prestito d'onore; la (s)vendita del patrimonio immobiliare (già oggi, in molti casi, affidato a Fondazioni pubblico-private) per ridurre i costi di manutenzione; i tagli degli “sprechi” sulla ricerca, tra i quali è già in atto una consistente riduzione delle borse di dottorato oltreché un ulteriore blocco del turn over. Si aggiunga, infine, la riforma della governance, già annunciata, che favorirà l'ingresso dei privati all'interno dei consigli d'amministrazione, e che affiderà alle rappresentanze studentesche una funzione, ancor più integrata, di cogestione delle briciole che rimangono nelle mani degli atenei.

Ce n'è abbastanza per capire che la situazione attuale dell'università, per l'Onda, è del tutto aperta ed il prossimo autunno si prefigura come una nuova stagione di lotte, tenendo presente che l'azione del governo sta producendo, e produrrà sempre di più, delle rotture all'interno del corpo accademico. Non è nostro compito quello di risanarle all'insegna della difesa dei mitologemi dell'università statale ma semmai di approfondirle ulteriormente, smascherando la falsa retorica della meritocrazia della Gelmini e costruendo un'università del comune.

Prima di concludere una piccola nota sul caso Sapienza: la principale università europea, in termini di iscritti e di notorietà, risulta tra gli ultimi posti, con un – 2,11%. Attendiamo con curiosità, in queste ore, di udire quali saranno le dichiarazioni del Rettore Frati, per farci due risate. Non che i continui tagli a questa università non ci destino preoccupazione, dal momento che colpiranno, come sempre, studenti e precari; ma se, col senno di poi, ripensiamo alle continue peripezie del Rettore Frati, oltre che a sorridere, ci convinciamo ancor più che avevamo ragione. Riprendendo la sua infausta battuta, dopo essere stati caricati di fronte ai cancelli della Sapienza (“non si passa con il rosso”), possiamo dire che, in questo caso, il cartellino rosso è stato inflitto in primo luogo a lui, al suo operato.

Già negli scorsi giorni si capiva che le cose non si stavano mettendo bene, quando lo spregiudicato Rettore aveva minacciato il commissariamento dell'ateneo in caso di assenza di fondi. Beh, oggi un po' di soldi (pochi) sono arrivati, ma non per lui, non per la Sapienza. La trattativa con il governo, è evidente, non è andata a buon fine: se la vera posta in palio di questo scambio era la normalizzazione dell'università, l'obiettivo è stato del tutto fallito. Cosa farà ora Frati: commissarierà per davvero? Chiederà un prestito d'onore a Gheddafi? Spiegherà ad Alemanno che i criminali da trecento, si sono ridotti a tredici, e siedono tra i banchi dell'Aquis? Oppure tornerà sulle barricate? In quest'ultimo caso ci sarà ancor più da divertirsi...

di Francesco Brancaccio - dottorando di Scienze Politiche, La Sapienza

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Ultimo aggiornamento Sabato 01 Agosto 2009 12:26  

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