Pubblichiamo lo scritto di uno studente della Statale di Milano, su lunedì 29 novembre, il giorno in cui, nella nostra metropoli , le mobilitazioni hanno assunto una consistenza, una tangibilità. Chissà che altri di voi abbiano voglia di raccontare quella giornata, magari le successive, fino a comporre una narrazione collettiva di quanto accaduto sin qui, in vista delle nuove mobilitazioni di inizio 2011...
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Milano è goffa, i suoi studenti si attardano tra laboratori e doppi lavori mentre, distrattamente, con la coda dell'occhio, guardano alle proteste che già avvampano in tutte le piccole e grandi città universitarie.
Milano sa ancora una volta sorprendere. Dopo l'occupazione del dipartimento di Fisica ed una serie di timidi tentativi ottobrini, è alle porte di dicembre (lunedì 29 per la precisione) che studenti, ricercatori e precari d'ogni disciplina, si convocano in Piazza San Babila per un presidio con fiaccolata. Arriviamo a gruppi a circondare la piccola fontana e il gioco di sguardi tra le realtà promotrici è subito complice. Siamo tanti, fanculo, finalmente siamo tanti. Guardiamo all'arrivo del corteo di Bovisa (o era Bicocca? boh, non importa) da Corso Vittorio Emanuele con le facce stupite e il capogiro.
Dopo una mezz'ora buona la piazza prende la forma di un animato corteo, evolve e muta colori. In testa i coordinamenti dei ricercatori da ogni facoltà, alcuni lavoratori della Statale e tante fiaccole. Subito dietro, una nuvola densa di universitari che urlano cori e si alternano al megafono, come a voler raccontare in cento modi diversi i loro NO al DDl che è stato calendarizzato per il giorno successivo alla camera.
Mentre sfiliamo per Corso Europa si susseguono le notizie delle azioni in centro città: in Piazza Duomo vengono affissi, in tempi diversi, tre striscioni. Il primo è calato dall'arengario, un secondo campeggia venti metri sotto la madonnina, il terzo si arrampica sulla terrazza del tetto della Rinascente.
All'altezza di Piazza Fontana il corteo si scalda, apriamo un confronto per poter passare da una strada che porta i segni della nostra storia, lo stragismo, sempre impunito, di stato e la sua mano fascista. Non c'è margine, decidiamo che il nostro obiettivo è altrove ma il corteo decide anche di non ripartire e, compatto, esige il rilascio senza identificazioni dei ragazzi fermati per gli striscioni. Quando decidiamo di muovere nuovamente verso "festadelperdono" la città è tutta buia e il passaggio ai portoni della sede centrale dell'università è fragoroso, un crescendo di numeri e gioiosa rabbia. Il corteo è un fiammifero al contrario: la testa racconta lo sdegno di ricercatori, dapprima timorosi, che prende voce strada facendo. Tra gli striscioni, che ne fasciano le prime file, ci si può far strada vivendo del rumore che esplode e si accende, crescente, nei cori degli studenti.
Il DDL non è che un tassello del processo di smantellamento della formazione superiore. S'insinua, insidioso, nel sentiero tracciato da dieci anni di Bologna Process e ci parla della crisi dell'università, all'epoca della (nuova) grande crisi. Finalmente riusciamo a dirlo insieme, lo facciamo parlando la
lingua di tutte le lotte che s'intrecciano con questa che è tutta nostra, collettiva, inaspettata. Non c'è accorpamento coatto, regime dei concorsi o privatizzazione dei CdA che tenga, oggi arriveremo in facoltà.
Con emozione crescente ci affacciamo all'ingresso della Facoltà di Scienze Politiche che da su via Mascagni e pochi metri prima di entrare, con il solo sguardo, qualcuno ricorda Alberto Brasili, uno studente come noi che in quella via ha lasciato la vita assassinato da cinque neofascisti. Il corteo si ferma, improvviso, appena dopo l'ingresso secondario. Entriamo in centinaia ed un megafono annuncia l'occupazione, finalmente una facoltà occupa a Milano ed il pensiero corre dritto al 2005, stagione indimenticata.
Un gruppo di ricercatori sale in pochi minuti sul tetto e cala il primo striscione, quest'anno proprio non ce la fanno a non sgattaiolare di tetto in tetto. Non resta ora che montare un impianto voce, annunciare un'assemblea e trasformare una cattedra nel più ricercato dei bar improvvisati. Già s'immagina una confusa e fumosa assemblea, la festa che si trascina fino a quando è troppo tardi, il saccoapelo e la sveglia, durissima, il giorno dopo, martedì 30. Ancora un corteo, ancora la stessa rabbia cui dare forma e voce, ancora una sfida di mescolanza e comunicazione con gli studenti medi.
Tra i tanti, un pensiero domina la mente: ancora, ne vogliamo ancora.
a.
Comments
This is part of Jacinto history that should be preserved forever. Back in college my friends used to freestyle rap at parties.
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